Aids Fair Play - Gruppo Pro-Positivo Beta 2

Un medico e sua figlia si sono curate. Leggete come nell'intervista

Tenendo conto che da noi negli anni, passati i tempi di ammortamento delle spese di ricerca, i prezzi normalmente non cambiano: è uno scandaloso travaso di risorse pubbliche (soldi dei cittadini) in casse private (aziende farmaceutiche) passando per l'AIFA (ufficio istiutuzionale sul farmaco - la trattativa con le case farmaceutiche sul "a chi, quanto costa, ecc." è nelle sue competenze - che guarda caso si chiama agenzia come le ASL e gli ospedali, ormai, per far prevalere il profitto al diritto con una giurisdizione aziendale da ente pubblico ma con spiccate caratteristiche private (altri esempi? Le municipalizzate dei trasporti, dell'acqua, della luce e del gas, dei rifiuti, forse tra non molto delle carceri e degli edifici di proprietà pubblica, delle spiagge, delle terre demaniali, e viaaaaa ...). Chi come me è contro la violenza come fa a non sentirsi insopportabilmente provocato a prenderla in considerazione (almeno come tentazione a cui resistere).

E' forse questo che si vuole?

 

Io, mia figlia e l'epatite C: per avere quel farmaco ho speso 140 mila euro

02/07/2015
 
Contagiata dopo una trasfusione una donna ha chiesto il risarcimento e adesso dopo aver comprato il farmaco chiede di essere rimborsata.
“Io, mia figlia, l’epatite C Per avere quel farmaco ho speso 140mila euro” “Contagiata dopo una trasfusione,ho chiesto il risarcimento e ho potuto comprare il Sofosbuvir”. Ora causa per il rimborso “Epatite C, ho speso 140mila euro ora voglio essere rimborsata” L’unica strada per tentare la guarigione dall’epatite C, per se stessa e sua figlia, era metter mano al portafogli. E sborsare 134 mila euro per comprare il superfarmaco, il “Sofosbuvir”, finito al centro delle polemiche (e di un’inchiesta), perché troppo costoso e riservato a pochi. Da medico e da paziente, sapeva che per via del genotipo della sua malattia non avrebbe potuto in alcun modo accedere alla terapia gratuitamente. Così ha dovuto curarsi da sola: la figlia è guarita, lei ancora non del tutto. E ora fa causa a ministero e Regione per il rimborso.
In India, una pastiglia costa un euro: una bella differenza.
Secondo lei perché?
«Perché c’è una grande speculazione da parte delle case farmaceutiche, ed è una cosa indegna. Non posso credere che il farmaco costi così tanto nella produzione. So che in altri paesi costa meno, ma chi si può prendere tre mesi di assenza dal lavoro per andarsi a curare in India?» Lei è un medico, ma è anche un paziente.
Cosa pensa di questa vicenda?
«Vivere con l’epatite C è un incubo, si resta sospesi con una spada di damocle sulla testa. Al lavoro sanno che ho questa malattia, e anche se sembra paradossale per il mio ambiente, “sei un’infetta”. Ed è una cosa terribile. Ancor più terribile è sapere che potresti guarire, ma solo se hai i soldi».
Lei da medico ritiene sia giusto che la cura dato che è così costosa sia in questo momento destinata a pochi?
«Assolutamente no. Ora può accedere alla terapia chi si trova già in gravi condizioni, con la cirrosi, chi è trapiantato e si è reinfettato. E’ una follia: guarire chi, come me e mia figlia, si trova ancora senza manifestazioni evidenti della malattia, rappresenta non solo un indubbio vantaggio per le persone ma anche alla lunga, un risparmio per il sistema sanitario».
E’ dovuta ricorrere a un prestito per comprare il farmaco?
«No perchè io ho contratto il virus nel 1984 dopo un intervento chirurgico in cui ho subito una trasfusione da sangue infetto. Mi ero rivolta al tribunale militare e già percepivo una pensione perchè era stata accertata la causa della mia malattia. Tramite l’avvocato Stefano Bertone avevo poi iniziato una causa civile e sono una delle poche a cui il Ministero ha offerto 100 mila euro (a testa) per chiudere il contenzioso. Li ho accettati per potermi comprare il farmaco».
Alla luce dei risultati, lo rifarebbe?
«Abbiamo iniziato la cura cariche di aspettative, il risultato per mia figlia è stato ottimo, e già solo per questo sono felicissima, è giovane e ha tutta la vita davanti. Io adesso dovrò aspettare ancora un mese e rifare le analisi: dalle chat americane a cui sono iscritta si dice che i valori possono ancora migliorare. Certo dispiace spendere se poi non si guarisce».
Partiamo dalle sue condizioni di salute: ora, grazie al superfarmaco siete guarite?
«Dopo tre mesi di cure io ho fatto le analisi del sangue ed ho ancora dei valori, seppur molto bassi, che indicano che è ancora presente il virus. Mentre mia figlia è guarita completamente».
Che speranze di guarigione aveva?
«Senza il farmaco nessuna. Mi avevano detto che con questa combinazione di farmaci, nel mio caso, con un genotipo 1B, io avrei avuto avuto una speranza di guarigione del 96-97 per cento. Aggiungo però che abbiamo assunto anche un altro farmaco insieme all’Harvoni, la Ribadirina».
Dove ha comprato il medicinale?
«Non avendo speranze di accedere ai centri pubblici per la sperimentazione del farmaco, ho iniziato a girare dai massimi esperti. A dicembre un epatologo mi ha parlato dell’Harvoni. Credevo di dover andare a San Marino, invece ho trovato una farmacia internazionale a Torino che si è fatta spedire il farmaco dalla Germania».
Quando ha iniziato la cura?
«Il primo marzo, per tre mesi io e mia figlia abbiamo preso ogni giorno una pillola di Harvoni e quattro di Ribadirina. Praticamente abbiamo speso 1000 euro a compressa ».
Fonte: torino.repubblica.it